venerdì 18 marzo 2016

Gigante nota un grave incidente e salva la vita a madre e figlio



Il destino talvolta è beffardo, talaltra è benevolo. Di sicuro molte volte è fantasioso e imprevedibile.
Può succedere che un passante percorra una strada deserta ad un’ora insolita a bordo della propria utilitaria. E gli può capitare di vedere qualcosa di strano, qualcosa di terribile, qualcosa che fa tremare i polsi e le vene. Può succedere che questo passante sia un gigante che passa di lì per puro caso, per i fatti suoi.
Martedì 15 marzo, intorno alle 14:15, un gigante di origini partenopee, alto un metro e novanta per 130 kg di peso, mentre sta facendo ritorno verso casa, ad un tratto, sulla bretella che congiunge via Dante al viadotto Morandi, in direzione Porto Empedocle, vede una fiat panda gialla cappottata sul bordo della strada, in mezzo all’erba. E’ un attimo. La vita, la morte, la paura. Il cuore che batte forte. Ci sarà qualcuno dentro l’auto? Gli occupanti saranno andati via e si saranno messi in salvo? Qualcuno sarà gravemente ferito o peggio? Una folla di pensieri, brutti, paurosi, laceranti. Il gigante non esita e, con una buona dose di sangue freddo, posteggia sulla carreggiata la propria auto e si dirige verso la panda. Si accorge subito che nell’abitacolo c’è la donna alla guida in stato di semi-incoscienza. Prova ad aprire la portiera, ma è bloccata a causa del forte urto che ha schiacciato il tettuccio dell’utilitaria. Il gigante non si perde d’animo, sono attimi cruciali, sente una forte puzza di benzina: la panda può incendiarsi da un momento all’altro. Risoluto, recupera dal proprio bagagliaio un ferro col quale prontamente scardina la portiera della panda. Afferra delicatamente la signora, S.A. un’agrigentina di 51 anni, la porta in braccio e la fa accomodare all’interno della sua auto dopo essersi accertato delle sue condizioni generali. Ma nell’aria il gigante sente uno strano rumore, un rantolo, come il lamento di un cagnolino. No, non è ancora finita: dentro la panda dev’esserci qualcun altro. E così il nostro si accorge che sul lato del passeggero, capovolto a testa in giù c’è un bimbo di appena 5 anni, figlio della conducente, che piange sommessamente ed è in stato di shock. Con un’altra manovra d’emergenza, scardina l’altra portiera, porta il bimbo in salvo e si preoccupa perché vede che il bambino respira affannosamente ed ha il viso ricoperto di sangue, giù fino al collo. Il gigante si accerta che il bambino non abbia arti fratturati e che non abbia emorragie in corso. Dopo di ché allerta tempestivamente un’autopattuglia dei Carabinieri e fa intervenire un’ambulanza del 118 che raggiungono il luogo del sinistro in pochi minuti e che porteranno la mamma e il figlioletto nel locale ospedale San Giovanni di Dio per ricevere le prime cure del caso. Sì, perché il “gigante” in realtà è G.B., 39 anni, un Appuntato scelto dell’Arma dei Carabinieri in servizio presso il reparto operativo speciale di Agrigento. Un ragazzo tutto d’un pezzo che, malgrado non fosse in servizio, non ha esitato un attimo a soccorrere i due malcapitati in spregio del pericolo e mettendo a rischio la propria incolumità.
Recentemente è uscito nei cinema un film del regista Mainetti intitolato “Lo chiamavano Jeeg Robot” che narra l’incredibile storia di un ladruncolo che vive a Tor Bella Monaca e sbarca il lunario con piccoli furti sperando di non essere preso. Un giorno, proprio mentre scappa dalla polizia, si tuffa nel Tevere per nascondersi e cade per errore in un barile di materiale radioattivo. Ne uscirà completamente ricoperto di non si sa cosa, barcollante e mezzo morto. In compenso il giorno dopo si risveglia dotato di forza e resistenza sovraumane. E diventerà, suo malgrado, un supereroe che aiuta i deboli in difficoltà. Ecco, spesso, come in questo caso, la realtà supera la fantasia: anche noi ad Agrigento abbiamo un “supereroe”; non conosciamo il suo volto, non conosciamo il suo nome, ma sappiamo che è un gigante che indossa una divisa nera amata dalla gente.
Per ragioni di riservatezza e di servizio, i superiori non hanno consentito che l’identità di questo encomiabile carabiniere fosse rivelata. Ma un suo amico, l’avvocato Marco Padùla (che è un figlio dell’Arma), venuto a sapere del fatto, ha pensato che fosse un peccato lasciar nascosta una storia così bella.


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